Celti e Venetkens

La maggior parte delle regioni europee condivide una importante e poco conosciuta eredità perduta nelle abitudini quotidiane, nelle tradizioni, nella celebrazione di feste le cui radici affondano in un comune e remoto passato di simili usi e costumi collegate  alla cultura, la spiritualità e l’arte dei Celti, antichi abitanti di queste terre le cui tracce sono ancora presenti nei nostri canti, nelle nostre lingue, nei nostri usi e nelle nostre tradizioni.

Anche in quella che oggi chiamiamo Pianura Padana, prima dell’avvento dell’impero di Roma, si insediarono popolazioni celtiche. Così scriveva lo storico greco Polibio: “I primi ad insediarsi, lungo le sorgenti del Po, furono Lai e Lebeci, dopo questo presero posto gli Insubri, il loro popolo più potente, e subito dopo, lungo il fiume, i Cenomani. Un altro popolo, già da tempo, si era insediato lungo il litorale adriatico; sono chiamati Veneti e, per costumi ed abbigliamento, sono poco diversi dai Celti, ma usano un’altra lingua; su di loro i tragediografi hanno detto molto e intessuto varie favole” (POLIBIO. II, 17, 4-6 – trad. C. Voltan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti).

Fino alla riforma amministrativa augustea che istituì nell’Impero romano la “Decima Regio Venetia et Histria”, tutto il Triveneto era incluso nella Gallia cisalpina, e ancora oggi i linguisti considerano i dialetti istroveneti come facenti parte del più vasto ceppo Gallo – italico, segno indubbio di un’impronta celtica che si è mantenuta nel tempo.

Allorchè la Gallia Cisalpina venne dichiarata provincia romana, la possibilità di una alternativa storica vide definitivamente il tramonto. I Celti però non scomparvero e gran parte dei loro guerrieri fu incorporato nelle legioni romane, contribuendo spesso ai successi militari degli eserciti dell’Urbe, negli scenari bellici della Gallia Transalpina e della Britannia. I druidi, la casta di sacerdoti-sciamani, poco alla volta accettarono la nuova religione del Cristo, oppure si amalgamarono con la categoria medica, introducendo preziose nozioni e conoscenze nella preparazione dei medicamenti, e di loro si perse, forse, ogni traccia.

Se consideriamo l’Italia preromana troviamo nella Penisola cinque ceppi: 1) Italici propriamente detti, ossia il gruppo latino – osco – umbro – sabellico (sabino e sannita), 2) i Galli cisalpini, 3) gli Etruschi, 4) i Liguri che costituivano una popolazione insediata non solo nella Liguria attuale e nel Piemonte meridionale, ma anche in vaste aree della Provenza e (sembra) dell’Aquitania, 5) i Veneti. Con l’eccezione degli Etruschi la cui origine, pare ormai accertato, non è il frutto di una migrazione ma va ricondotta al sostrato originario di popolazioni pre- indoeuropee, gli altri quattro gruppi sono il risultato di quattro distinte migrazioni di popolazioni indoeuropee nella nostra penisola.

I Veneti, sembra abbiano avuto origine in qualche punto dell’Europa centrale. Da qui, questa popolazione sarebbe migrata in tre direzioni diverse, scindendosi in tre gruppi: uno di essi avrebbe occupato il nord – est della penisola italiana o se vogliamo la parte orientale della Gallia cisalpina, uno si sarebbe diretto ad ovest, verso la Gallia, mescolandosi con le popolazioni celtiche, ed un terzo si sarebbe diretto ad est fondendosi con i Baltici e con gli Slavi.

I Veneti occidentali si sarebbero insediati sull’estuario della Loira, divenendo una popolazione integrata con le circostanti tribù galliche, ma che manteneva propri caratteri distintivi. Cesare entrò in contatto con loro durante la conquista della Gallia, e nel De Bello Gallico ha descritto questi Veneti occidentali o Vendi come una popolazione fiera, combattiva, gelosa delle proprie tradizioni, ed ottimi marinai, segnala anche che per ormeggiare le navi essi usavano invece di una pietra legata ad una fune come era di uso comune a quel tempo, un ferro di forma apposita, furono insomma gli inventori dell’ancora.

Celti e Veneti si sono variamente incontrati e mescolati sia sulla sponda atlantica della Gallia sia nell’area compresa tra l’arco alpino, il Mincio ed il Po, erano fin dall’inizio con ogni probabilità popolazioni molto affini, rimaste fedeli per così dire al “tipo base” dell’uomo indoeuropeo e che non avevano difficoltà ad integrarsi.

Nel 2013 è stata allestita a Padova una preziosa mostra che ha percorso la storia dei Veneti antichi, chiamati anche Venetkens, raccontandone la civiltà a partire dalla vita quotidiana all’arte, dall’organizzazione sociale e politica alle manifestazioni dello spirito.

Le fonti letterarie ricordano un territorio policentrico, punteggiato dalle “cinquanta città dei Veneti” (tra cui Este e Padova, le due capitali venetiche, ma anche Vicenza, Treviso, Altino, Oderzo, Concordia) nei pressi delle quali s’incontrano i resti delle attività metallurgiche e delle manifatture ceramiche, spesso tenute ai margini degli insediamenti come nelle odierne zone industriali. Un popolo che visse in un ampio territorio racchiuso fra Po, Mincio, Garda, Adige e Alpi, comprendendo parte della attuale Lombardia orientale, il Trentino, il Veneto, Friuli Venezia Giulia e la regione dell’Istria.

I Venetkens usavano una scrittura spigolosa, che molto assomiglia agli alfabeti runici del Nord Europa; quelle lettere ricoprono lastre e cippi in pietra, foglie di metallo, ossa, vasi. Ritornano incise sugli aklon, grossi ciottoli fluviali di porfido, enigmatici testimoni di un popolo che abitava un territorio vasto ed eterogeneo, ma unito da una matrice culturale comune. Un popolo, quello dei Veneti antichi, che abitava queste terre già un millennio prima di Cristo, e al quale la mitologia classica attribuiva un’origine eroica, legata all’eredità dei guerrieri approdati qui dopo la caduta di Troia.

Quella descritta dall’iconografia veneta è una realtà indissolubilmente legata al sacro, nel quale il santuario è tutt’uno con la natura; luogo di preghiera, d’invocazione di un pantheon di  divinità, ma anche luogo di commercio e scambio, sede delle scuole di scrittura frequentate da donne e uomini. In questo spazio, gli uomini donavano se stessi, o i loro simulacri: bronzetti raffiguranti donne, bambini, guerrieri, artigiani, ma anche cavalli, dotati di un ruolo di primo piano nella cultura paleoveneta. Famosi per l’abilità nella corsa, a essi venivano riservati spazi di sepoltura privilegiati.

Riferimenti utili per approfondire:
http://adolfozavaroni.tripod.com/padua.htm
https://www.venetostoria.com/?p=5139
https://www.venetostoria.com/?p=2387
https://www.venetostoria.com/?p=1853
http://www.europaveneta.org/areaculturale/venetiantichi/religione.html

 

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