Noi viviamo in un mondo pieno di consuetudini, ma pochi cercano di capire la loro origine. Generalmente siamo propensi ad accettarle senza dubbio. Esaminiamo dunque attentamente le origini del Natale.
Partiamo intanto dal considerare che -storicamente -la data di nascita di Cristo non è nota. I vangeli non ne indicano né il giorno né l’anno. Cristo nacque probabilmente agli inizi dell’autunno. Sappiamo che era consuetudine tra gli Ebrei mandare fuori le pecore nei deserti nel periodo della Pasqua, e riportarle a casa all’inizio delle prime piogge, con l’arrivo dell’autunno. Luca (2:8) spiega che quando Cristo nacque: «Ora in quella stessa regione c’erano dei pastori che dimoravano all’aperto nei campi, e di notte facevano la guardia al loro gregge». Notate che loro stavano «dimorando» nei campi. Questo non succede mai a Dicembre. L’inverno era la stagione delle piogge e i pastori non potevano rimanere al freddo e nei campi all’aperto di notte. In tutta probabilità, Cristo nacque dunque in autunno. Fu assegnata la data del solstizio d’inverno perché in quel giorno il sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, e i pagani – che adoravano Mitra – celebravano il “Dies Natalis Solis Invicti” (giorno della nascita del Sole invincibile.
Dopo il Solstizio, con la notte più lunga dell’anno il 21 dicembre, le giornate ricominciano poco alla volta ad allungarsi. La data del 25 dicembre, prima di diventare celebre come “compleanno di Gesù”, è stata giorno di festa per i popoli di culture e religioni molto distanti tra loro, nel tempo e nello spazio. Le origini di questi antichi culti vanno ricercate in ciò che è “principio” della vita sulla terra e che “dal principio” è stato oggetto di culto e di venerazione, cioè il sole.
Nelle tradizioni germanica e celtica precristiana, Yule era la festa del solstizio d’inverno. Come tutti i momenti di passaggio, Yule rappresenta un periodo carico di valenze simboliche e magiche, dominato da miti e simboli provenienti da un passato lontanissimo. Quando i missionari cristiani iniziarono la conversione dei popoli germanici, adattarono molti simboli e feste locali. La festa di Yule venne quindi trasformata nel Natale, mantenendo però alcune delle sue tradizioni originarie.
I popoli “antichi” erano intimamente legati al ciclo della natura poiché da questo dipendeva la loro stessa sopravvivenza. L’uomo si sentiva parte di quella natura, che doveva apparire per certi versi “magica”, ma in posizione di debolezza. Per questo, attraverso il rito, cercava di “fare amicizia” con questa o quella forza insita nella natura stessa. Al centro di questo ciclo c’era il sole che scandiva il ritmo della giornata, che condizionava tutta la vita dell’uomo. Temere che il sole non sorgesse più, vederlo perdere forza d’inverno riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era un’esperienza tragica che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare che il sole non si innalzasse più o di aiutarlo nel momento di minor forza.
Durante queste feste venivano accesi dei fuochi (usanza che si ritrova nella tradizione natalizia di bruciare il ceppo nel camino la notte della vigilia) che, con il loro calore e la loro luce, avevano la funzione di ridare forza al sole indebolito. Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (da sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”).
Se ci troviamo nell’emisfero nord della terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 dicembre possiamo infatti osservare come il sole sembra fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore. In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.
Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. E proprio il 25 dicembre sembra che il sole rinasca, che abbia quindi un nuovo “Natale”.
Questa interpretazione “astronomica” può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro.
Il 25 dicembre è associato al giorno di nascita o di festeggiamento di personaggi divini risalenti anche a secoli prima di Cristo. Per citarne alcuni:
Il dio Horus egiziano: i mosaici e gli affreschi raffiguranti immagini di Horus in braccio a Iside ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino, tanto da indurci a credere che in epoca cristiana, per ovvi motivi, alcune rappresentazioni di Iside e Horus, spesso raffigurato come un bambino con la corona solare sul capo, furono probabilmente “riciclate”.
Il dio Mitra indo-persiano: quello di Mitra fu il culto più concorrenziale al cristianesimo e col quale il cristianesimo si fuse sincreticamente. Anche Mitra era stato partorito da una vergine, aveva dodici discepoli e veniva soprannominato “il Salvatore”.
Gli dei babilonesi Tammuz e Shamas: nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro. In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali. È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.
Dioniso: nei giorni del solstizio d’inverno, si svolgeva in onore di Dioniso una festa rituale chiamata Lenaea, “la festa delle donne selvagge”. Veniva celebrato il dio che “rinasceva” bambino dopo essere stato fatto a pezzi.
Bacab: era il dio Sole nello Yucatan; si credeva che fosse stato messo al mondo dalla vergine Chiribirias.
Il dio Sole inca Wiracocha: il dio sole inca veniva celebrato nella festa del solstizio d’inverno Inti Raymi (festeggiata il 24 giugno perché nell’emisfero sud, essendo le stagioni rovesciate, il solstizio d’inverno cade appunto in giugno).
E’ interessante notare come i tempi e i simboli del sacro siano comuni a civiltà così distanti fra loro. Questo dovrebbe far sorgere più spesso il sospetto di un’origine comune delle religioni tramite uno studio comparato delle stesse alla ricerca del significato della vita. Invece, ottusamente ci si continua ad adagiare su fedi antropomorfiche dogmatiche e più o meno esplicitamente intolleranti nei confronti delle altre.